04/12/2015 | GIUSTIZIA E PACE – Nel mondo, più di 700 milioni di donne e bambine si sono sposate prima di aver compiuto 18 anni. Più di una su 3, circa 250 milioni, si è sposata prima dei 15 anni; a livello globale circa la metà delle ragazze tra i 15 e i 19 anni tende a giustificare chi picchia la moglie o la partner in alcune circostanze come rifiutare un rapporto sessuale; uscire di casa senza permesso, litigare, trascurare i bambini o bruciare la cena. Sono i dati forniti dall’Unicef (Agenzia Onu che si occupa di infanzia) sulla condizione femminile. Una tragedia, quella della violenza sulle donne (oggi si celebra la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne) che tocca da vicino anche il continente africano. La mente corre alle ragazze rapite da Boko Haram o usate come kamikaze in Nigeria, alle bambine fuggite dalla guerra nella Repubblica centrafricana, alle mamme e alle bambine costrette a fuggire dalle violenze della guerra in Sud Sudan, alle migliaia di ragazze eritree e somale costrette a subire violenza nel loro viaggio verso l’Europa. Ma anche alle migliaia di bambine costrette a sposarsi. Sposarsi in età precoce comporta una serie di conseguenze negative per la salute e lo sviluppo. Al matrimonio precoce segue quasi inevitabilmente l’abbandono scolastico e una gravidanza altrettanto precoce, e dunque pericolosa sia per la neo-mamma che per il suo bambino. Le gravidanze precoci provocano ogni anno 70.000 morti fra le ragazze di età compresa tra 15 e 19 anni, e costituiscono una quota rilevante della mortalità materna complessiva. A sua volta, un bambino che nasce da una madre minorenne ha il 60% delle probabilità in più di morire in età neonatale, rispetto a un bambino che nasce da una donna di età superiore a 19 anni. E anche quando sopravvive, sono molto più alte le possibilità che debba soffrire di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici. Le statistiche dicono quanto lavoro ci sia ancora da fare in questo settore. Un lavoro non solo di protezione delle donne che hanno subito violenza, ma anche culturale. «Questi dati parlano di una mentalità che tollera, perpetra e giustifica la violenza e dovrebbero far suonare un campanello d’allarme in ognuno di noi, ovunque – spiega Giacomo Guerrera il presidente dell’Unicef Italia –. I dati dimostrano quanto sia indispensabile garantire alle bambine e alle donne il diritto fondamentale a un’istruzione di qualità. Vorrei ricordare le parole di Malala, Premio Nobel per la pace: “Un bambino, un maestro, un quaderno e una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è l’unica soluzione. La scuola è un luogo reale di protezione dagli abusi, dallo sfruttamento, dai matrimoni e dalle gravidanze precoci, che mettono letteralmente a rischio la vita delle bambine e delle ragazze, soprattutto in alcuni Paesi del mondo in via di sviluppo dove le bambine e le donne sono ancora fortemente discriminate”».
Fonte: africarivista.it, 25/11/2015