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Bolivia – Francesco ai religiosi: testimoni di misericordia non di una ideologia

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BOLIVIA|10.07.2015|  I cristiani non sono testimoni di una ideologia, ma della misericordia di Gesù che li rende capaci di avvicinarsi al dolore della gente: è quanto ha detto Papa Francesco incontrando, in una scuola salesiana a Santa Cruz, sacerdoti, religiosi e seminaristi, nella seconda giornata del suo viaggio in Bolivia.

Le testimonianze dei consacrati

Quattro testimonianze aprono l’incontro con il Papa: mons. Roberto Bordi, vescovo incaricato della vita consacrata in Bolivia, ricorda che quanti sono chiamati ad annunciare il Vangelo sono i primi che hanno bisogno di essere costantemente evangelizzati. Solo chi si lascia sempre convertire da Dio può contagiare gli altri con la gioia della buona novella.  Il presule elenca le sfide della Chiesa in Bolivia: il secolarismo che avanza, la crisi della famiglia, la corruzione, il narcotraffico, la povertà, le contrapposizioni politiche e ideologiche. Ma tutto nella consapevolezza che il bene è più potente del male perché produce la vita vera. Un sacerdote di Cochabamba ricorda le sue origini contadine. Ha ascoltato la voce di Dio è ha lasciato tutto. Sottolinea l’importanza della vita comunitaria per vivere la fede. Suor Gabriella parla del suo incontro con il Cristo vivo nella preghiera, nell’Eucaristia nell’ascolto della Parola di Dio e nel suo lavoro nel campo dell’educazione. Oggi – afferma – abbiamo sempre più bisogno di diffondere la speranza in un mondo sempre più triste. Infine, un seminarista, figlio di un minatore, parla della sua vocazione, nata grazie alla madre che gli ha insegnato a non dimenticare mai di pregare.

I cristiani indifferenti di fronte al dolore dell’altro

Papa Francesco ascolta con attenzione, ringrazia, abbraccia. Poi svolge la sua meditazione a partire dal Vangelo in cui Bartimèo, cieco e mendicante, si accorge che sta passando Gesù e grida. Il Papa elenca tre reazioni dei seguaci di Gesù davanti al dolore dell’uomo. Innanzitutto c’è chi passa accanto ma resta nell’indifferenza, non si lascia toccare, si è abituato all’ingiustizia. Ha “un cuore blindato, chiuso, ha perso la capacità di stupirsi e quindi la possibilità di cambiare. Quante persone che seguono Gesù corrono questo pericolo!”. Si crede di seguire Gesù ma senza lasciarsi coinvolgere dal fratello che soffre. E la vita diventa arida. Francesco la definisce “spiritualità dello zapping”: sono quelli che “vanno dietro all’ultima novità, all’ultimo best seller, ma non riescono ad avere un contatto, a relazionarsi, a farsi coinvolgere”.

I cristiani che fanno dell’identità una questione di superiorità

Il secondo atteggiamento davanti al grido di Bartimeo – dice il Papa – è quello di chi gli ordina di stare  zitto, di  non disturbare. Sono quelli che rimproverano sempre: “Sono i vescovi, i sacerdoti, le suore, il Papa … con il dito così”. “È l’atteggiamento di coloro che di fronte al popolo di Dio, stanno continuamente a rimproverarlo, a brontolare, a dirgli di tacere. Dategli una carezza per favore, ascoltatelo, ditegli che Gesù gli vuole bene …  ‘Ma non si può fare, signora, cos’ha questo bambino che piange mentre io predico?’. Come se il pianto di un bambino non fosse una sublime predica!”. “È il dramma della coscienza isolata, di coloro che pensano che la vita di Gesù è solo per quelli che si credono adatti, ma in fondo hanno un profondo disprezzo per il popolo fedele di Dio”. “Sembrerebbe giusto che trovino spazio solo gli ‘autorizzati’, una ‘casta di diversi’ che lentamente si separa, differenziandosi dal suo popolo. Hanno fatto dell’identità una questione di superiorità”: “non sono più pastori, ma sono capitani” che sempre pongono “barriere al popolo di Dio”. E questo atteggiamento “li ha allontanati, non solo dal grido della loro gente, o dal loro pianto, ma soprattutto dai motivi di gioia. Ridere con chi ride, piangere con chi piange, ecco una parte del mistero del cuore sacerdotale e del cuore consacrato”.

Non avere paura di lasciarsi coinvolgere dal dolore della gente

Infine – afferma Papa Francesco – c’è chi fa come Gesù che “si ferma di fronte al grido di una persona e si impegna con lui. Mette radici nella sua vita. E invece di farlo tacere, gli chiede: Che cosa posso fare per te?”. “Non esiste una compassione, una compassione, che non si fermi, se non ti fermi non hai la divina compassione, non ascolti e non solidarizzi con l’altro”. “La compassione non è zapping, non è silenziare il dolore, al contrario, è la logica propria dell’amore. È la logica che non si è centrata sulla paura, ma sulla libertà che nasce dall’amore e mette il bene dell’altro sopra ogni cosa. È la logica che nasce dal non avere paura di avvicinarsi al dolore della nostra gente. Anche se molte volte non sarà che per stare al loro fianco e fare di quel momento un’occasione di preghiera”.
Siamo testimoni della misericordia di Gesù, non di una ideologia
Noi – conclude il Papa – “non  siamo testimoni di un’ideologia, di una ricetta, di un modo di fare teologia”, “non siamo “funzionari di Dio”, “siamo testimoni dell’amore risanante e misericordioso di Gesù”, “non perché siamo speciali, non perché siamo migliori” ma “perché siamo testimoni grati della misericordia che ci trasforma”.

Fonte: radiovaticana.va, 10/07/201

 

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